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Gertrude Bing, Aby Warburg (al centro) e Fritz Saxl |
Con questo saggio, breve quanto denso
di significati, il grande studioso amburghese fondava l’iconologia, «quel ramo
della storia dell’arte che si occupa del soggetto o significato delle opere
d’arte contrapposto a quelli che sono i valori formali», secondo le parole
famose di Panofsky[2].
Un secolo, dunque, è passato; un secolo
in cui si sono dette tante cose su una disciplina complessa e dalle tante
facce, che ha saputo rinnovarsi e allargare i propri ambiti e metodi di
ricerca, che ha insegnato anche
attraverso quegli errori che i suoi contestatori hanno messo in evidenza. Tanto
si è detto e tanto, in futuro, si dirà.
In
realtà qualcuno potrebbe obiettare che non c’è niente da festeggiare, perché
l’iconologia non è da considerarsi come una disciplina con una storia unitaria
e consequenziale.
Penso
anche a George Didi-Huberman che nel suo grandioso volume su Warburg[3],
di cui ho parlato qui, sostiene che in realtà il metodo warburghiano è cosa
molto diversa dai tre livelli di significazione proposti da Panofsky- cardine
del sistema iconologico di quest’ultimo.
Se
così fosse, allora, potremmo al limite parlare di storia dell’iconologia solo
escludendo da essa Warburg e quindi spostandone la data di nascita di qualche
decennio: la storia canonica della disciplina sarebbe quindi da sconfessare e da
rivedere in uno dei suoi punti cardinali.
Inoltre,
studiosi la cui formazione è stata indubbiamente segnata dall’iconologia, o che
hanno dialogato con lei in periodi determinanti del proprio percorso
intellettuale, sostanzialmente si sono poi allontanati per seguire altre strade
molto diverse.
Ma davvero
dobbiamo giungere a un tale revisionismo? Non credo.
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Interno della Biblioteca di Aby Warburg (Kulturwissenschaft Bibliothek Warburg) ad Amburgo |
Al di
là della multiformità, delle deviazioni, dei percorsi a volte agli antipodi dei
suoi interpreti, e degli errori rispetto allo stesso programma iconologico a
cui nelle intenzioni si faceva riferimento, un punto comune rimane, imprescindibile e
fondativo, capace trascende il singolo nome per instaurare una unità superiore:
tratta di una lezione che, ne sono convinto, era valida cento anni fa e lo
rimarrà sempre.
Mi
affido alle parole di Claudia Cieri Via: « L’iconologia, come metodo di studio
delle immagini e in particolare delle opere d’arte , si caratterizza sostanzialmente
per un’implicita finalità conoscitiva volta a cogliere nell’opera d’arte non
solo il come o il cosa ma anche il perché dei fenomeni artistici, indagando sulla genesi, sui diversi
aspetti del loro manifestarsi, in rapporto alla tradizione artistica e
letteraria e al contesto storico-culturale […] »[4].
E’
quindi il sottrarre l’opera d’arte alla esclusività dell’indagine formalista,
nella coscienza che essa è parte di un contesto ineliminabile. Il tentativo di
studiarla e comprenderla diventa quindi faccenda ancor più complessa e
problematica, e non meno affascinate: la storia dell’arte si avvicina con un
gran balzo alla comprensione piena del suo oggetto di studio.
Questo,
al nocciolo, il lascito essenziale dell’iconologia alla storia dell’arte
successiva (è Frederick Antal, per esempio, a parlare di Warburg come del «più
importante pioniere» della storia sociale dell’arte[5])
e a noi, storici dell’arte di oggi; questa, credo, la linea guida che la
caratterizza e unifica come disciplina , e che ci autorizza ad alzare i calici
e brindare.
Con
questo post apro il “mese iconologico” di questo blog: tutti i posti di ottobre
saranno dedicati all’iconologia e quindi ad alcuni dei suoi massimi interpreti.
[1] Ripubblicato
da Abscondita nel 2006 col titolo Arte e
astrologia nel Palazzo Schifanoja di Ferrara
[2] Iconografia e iconologia, in Erwin
Panofsky, Il significato nelle arte
visive, Einaudi 1962
[3] G.
Didi-Huberman, L’immagine insepolta- Aby
Warburg, la memoria dei fantasmi e la storia dell’arte, Bollati Boringhieri
2006
[4] C. Cieri
Via, Nei dettagli nascosto- per una
storia del pensiero iconologico, Carocci 2009
[5]
Riportato in G.C. Sciolla, La critica
d’arte del novecento, UTET 1995
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