
Fig.1, Bernardo Daddi, l'Assunta dalla pala per la prepositura di Prato, 1337-38. New York, Metropolitan Museum of Art
In
Italia è possibile fare mostre serie: mostre con un discorso
storiografico sensato e in cui sia possibile ammirare opere d'arte
nelle migliori condizioni. A dimostrarlo è la bella mostra "Legati
da una cintola. L'assunta di Bernardo Daddi e l'identità di una
città", in corso a Prato fino al
14 gennaio nel Museo di Palazzo Pretorio. Si tratta di un percorso
ottimamente articolato che narra la venerazione della
città per la sacra cintola:
una mostra iconografica, quindi,
sulla resa di questo soggetto
nei diversi medium artistici.
Da
un punto di vista specificamente storico artistico, i
punti di interesse sono
molti: basti pensare al
tentativo critico di ricomposizione della grande
pala realizzata da Bernardo Daddi per il Duomo cittadino (all'epoca
prepositura) smembrata in vari musei: un'occasione
unica
di cui è possibile usufruire grazie a un lavoro scientifico durato
più di due anni, condotto tra gli altri dai curatori Andrea De
Marchi e Cristina Gnoni Mavarelli, e che ha portato tra le altre cose
alla pubblicazione di un catalogo esemplare e
a un apparato didattico essenziale
ma ben fatto:
nulla a che vedere, insomma, con le mostre improvvisate a cui
ultimamente anche insigni studiosi sembrano votarsi.
Bisogna poi aggiungere un altro enorme
motivo di interesse: in occasione della mostra è aperta la cappella
della Cintola del Duomo, che conserva una Madonna col Bambino
che è un grande capolavoro di Giovanni Pisano, e il ciclo di
affreschi realizzato da Agnolo Gaddi, restaurato in anni recenti. Un
luogo stupendo quasi sempre chiuso per una decisione che, a
prescindere dalle motivazioni, è inaccettabile (Fig.2).

Fig.2, Giovanni Pisano, Madonna col Bambino, 1305-10 ca. Prado, Duomo, cappella
della Cintola

Fig.3. Pannelli con la ricostruzione della Pala di Bernardo e predelle del Museo di Palazzo Pretorio e della
Pinacoteca Vaticana
È
chiaro che il punto più importante della mostra da un punto di vista
critico è la ricomposizione della pala che Bernardo Daddi realizzò
per la città nel 1337-38 (Fig.3),
di cui
sono anche
presentati i pagamenti. Qui siamo di fronte a un esercizio filologico
condotto nel vivo della ideazione della mostra, pensato in intima
connessione a essa:
la dimostrazione di come, nonostante opinioni qualunquiste alla
moda, quando ben pensate le
mostre rimangono uno degli strumenti essenziali della Storia
dell'arte.
Si
tratta di un esercizio
filologico complesso: l'appartenenza delle tavolette della Pinacoteca
Vaticana alla predella bassa della pala pratese non è certificata da
documenti, tanto che in anni anche recenti questa ipotesi è stata
rigettata.1
Ma una serie di indizi, stringenti
e di tipo diverso, che qui
non riassumo rimandando al catalogo,
confermano la tesi
dell'appartenenza al complesso di Prato: il fatto che le tavolette
vaticane riunite siano più larghe di quelle conservate nel Museo di
Palazzo Pretorio appare meno strano tenendo a mente casi pratesi
successivi come il grandioso
Polittico di Giovanni da
Milano conservato sempre in
Palazzo Pretorio – dimostrazione,
peraltro, del
valore di modello a cui
l'opera di Bernardo Daddi dovette assurgere
nelle commissioni cittadine.
Al
di là di un problema critico così specifico, la
mostra permette di godere di pezzi pittorici di livello altissimo: la
tavola centrale, del
Metropolitan di New York (Fig.1),
è un capolavoro coloristico di dolcezze pittoriche e raffinatezze
tecniche, che rende ancor più triste la vasta decurtazione subita
(Fig.4).
Stesso dicasi per le predelle: lo
stato conservativo è
particolarmente precario per
le tavole vaticane, ma
il Gamaliel volante, uno dei pochissimi punti integri della
serie, è una figura
stupenda, di grande qualità sia pittorica che decorativa (Fig.5).
Ancora
dal Metropolitan provengono due tavolette, purtroppo anche loro
rovinate,
che completavano il monumentale Polittico per Santa Reparata, uno dei
capolavori pittorici più entusiasmanti del Trecento, che peraltro mostra come la soluzione di un polittico con predella doppia non doveva essere un unicum nella produzione del pittroe;2
la tavoletta con Santa Reparata davanti all'imperatore
Decio (Fig.6)
mostra bene come in Daddi una
razionale concezione spaziale di chiara matrice giottesca si unisca
a una sensibilità diffusamente decorativa e
dolcemente coloristica: si
veda come
il monumentale trono in scorcio è ovunque circondato da
decorazioni dorate ricercatissime
che trionfano nella tenda del fondo con figurine zoomorfe stilizzate
(fig.7);
è poi meraviglioso il
personaggio che vi mostro in dettaglio (Fig.8):
qui abbiamo un panneggiare
ampio e largo, solido e monumentale nel senso più giottesco del
termine, che tuttavia è tempestato ai bordi da
una serie di motivi dorati che lo valorizzano assecondandone gli
aggetti, i ripiegamenti, insomma i naturali accidenti di una veste
vera; il tutto impreziosito
di un blu tenue che si rischiara gradatamente verso la fonte di luce.
Bernardo
Daddi è davvero un grande pittore e uno dei più
alti seguaci di Giotto, e
per averne ulteriore conferma basta
visitare il suo
splendido polittico sempre conservato in Palazzo Pretorio, un
capolavoro di dolcezze epidermiche e raffinatezze cercate in punta di
pennello.
Sottolineo
la grandezza di Bernardo
perché in Italia questo
dato non è affatto
scontato:
mentre egli è
da sempre amato dalla
critica anglosassone, la svalutazione condotta da Roberto Longhi, per
cui Bernardo sarebbe un “usignolo meccanico”,3
è fruttata al punto che in un bel volume divulgativo sul giottismo
di uno dei più grandi studiosi della pittura del Trecento, Luciano
Bellosi, nella larga trattazione che giunge a includere anche
i fratelli Limbourg non si
trova spazio
per
colui che, a prescindere da
valutazioni personali, fu
uno dei più diretti allievi ed eredi di Giotto.4
C'è
da sperare che questa mostra ponga definitivamente fine a questa
svalutazione, che peraltro in Italia mi sembra fortunatamente
sulla via del tramonto.5

Fig.4, dettaglio dell'Assunta ora a New York dove si nota la parte superiore dell'aureola di san Tommaso

Fig.5, Bernardo Daddi, Gamaliel appare in sogno al prete Luciano, dettaglio, 1337-38. Città del Vaticano,
Pinacoteca vaticana

Fig.6, Bernardo Daddi, Santa Reparata davanti all'imperatore Decio, 1340 circa. New York, Metropolitan
Museum of Art

Fig.7, dettaglio della figura 6

Fig.8, dettaglio della figura 6
Ma la mostra non si ferma al solo
Bernardo Daddi. Importante quanto la ricostruzione della pala
daddesca è la presenza del meraviglioso rilievo del Maestro di
Cabestany (Fig.9), uno dei più impressionanti scultori del Romanico
europeo, artista itinerante attivo tra Spagna, Francia e Toscana. Il
rilievo è parte della lunetta della chiesa di Cabestany, realizzata
dall'artista dopo la sua permanenza a Prato, ed è la prima
visualizzazione artistica (tra le cose almeno che ci sono giunte da
quel gran naufragio che è l'arte medievale) della scena della
cintola.
È un'opera straordinaria, un vero
exploit scultoreo: le figure sono poste su diversi piani di
profondità, animando il marmo con sbalzi che arrivano quasi al tutto
tondo (Fig.10) e punti in cui il rilievo minimo giunge a una sorta di
stiacciato (Fig.11): si creano così giochi stupendi e diversamente gradati di
ombre profonde che sottolineano la tridimensionalità di panneggi e
personaggi; colpisce poi il grado di deformazione espressionistica a
cui giungono molte figure, che quasi sembrano mostruose: penso al
Cristo dal viso leonino, o agli angeli che sembrano delle scimmiette
deformi, o alle mani enormi (Fig.12); molti visi sembrano ottenuti
dipartendo ad angolo vivo e spiovente dalla zona del naso, e forse è
questo a renderli così stranamente deformi e tanto impressionanti.

Fig.9, Maestro di Cabestany, Morte, Glorificazione e Assunzione della Vergine con san Tommaso che tiene
la cintola, 1160 ca. Cabestany, Notre-Dame-des-Anges

Fig.10, dettaglio della figura 9

Fig.11, dettaglio della figura 9

Fig.12, dettaglio della figura 9
È
poi presenta una deliziosa e
raffinatissima tavoletta con
la Madonna del Parto
dal Museo Bandini di Fiesole (Fig.13),
che porta da diverso tempo una stabile attribuzione a Nardo di Cione
che io francamente non riesco a comprendere: la piattezza
bidimensionale del viso di Maria, reso
tramite una ricercata dolcezza della materia pittorica che porta a
una bellezza quasi diafana e impalpabile, mi
sembra quanto di più lontano dall'ombreggiare insistito e
volumetrico di questo pittore tra i più grandi del terzo quarto del
Trecento in Toscana – e mi
chiedo se il giustificare questa attribuzione mettendo la tavola
fiesolana agli inizi del percorso di Nardo non sia un alibi troppo
semplice.
Non meno interessanti sono le cinque
placchette dorate della sacra cintola conservata nel Museo dell'Opera
del Duomo di Pisa (Fig.14): si tratta di oggetti di una fattura
artistica davvero squisita, dove le figure, nonostante le piccole
dimensioni, raggiungono una solidità di impianto e una monumentalità
di panneggi mirabili, che ci mostrano quanto la lezione di Nicola
Pisano dovette essere pervasiva nella Toscana del secondo Duecento –
ma da qui ad attribuire queste raffinate oreficerie a Nicola in
persona, come è stato proposto di recente, ce ne corre!6
Molto interessanti sono inoltre le due
grandi tavole di Niccolò di Pietro Gerini, uno dei principali
pittori fiorentini tra la fine del Trecento e gli inizi del
Quattrocento, poiché, messe come sono l'una di fianco all'altra,
permettono di vedere come nella bottega di uno stesso artista
potessero uscire opere di qualità diseguale: tanto alta mi sembra
infatti la più antica, con cangiantismi molto suggestivi e una
stesura pittorica raffinatissima (Fig.13), quanto di qualità più
modesta la più recente (datata intorno al 1415, è in San Francesco ad Arezzo), al netto di un possibile intervento più
ampio della bottega e di uno stato conservativo meno buono –
ma insomma, queste sono mie impressioni personali, che magari uno
studioso dell'artista potrebbe facilmente smentire.

Fig.13, Madonna del Parto, dettaglio, 1350 ca. Fiesole, Museo Bandini

Fig.14, Noli me tangere, seconda metà del Duecento. Pisa, Museo dell'Opera del Duomo

Fig.15, Niccolò di Pietro Gerini, Dormitio Virginis e Assunzione della Vergine, 1370-75 ca.
Parma, Galleria Nazionale
Insomma, Legati da una cintola è
una mostra molto ricca e stimolante per palati diversi: il nucleo di
opere rinascimentali, per esempio, è molto ricco e di indubbio
interesse per gli studiosi del periodo. Senza dilungarmi troppo in
ambiti di cui non potrei parlare con troppa cognizione di causa, non
mi resta quindi che concludere consigliandovi nuovamente di
visitarla, e aggiungere una annotazione polemica.
Io non ho dati ufficiali, e parlo solo
per la mia limitata esperienza personale; ma questa mostra l'ho
visitata finora tre volte, in giorni della settimana e orari diversi:
e, mi duole dirlo, intorno a me c'è sempre stato il deserto, o al
massimo un numero davvero esiguo di visitatori, così pochi da
contarsi sulle dita di una mano. Eppure Legati da una cintola è
una mostra ben pubblicizzata, almeno in Toscana. Mi chiedo quindi –
ma è una riflessione più ampia, nata da tante cose, tra cui la
solitudine che provo in tanti musei di prima grandezza – se la
Storia dell'arte non sia ormai giunta a una crisi tanto drastica e
irrisolvibile da risultare del tutto indifferente al pubblico, alle
persone, alla “società”: una crisi per cui quello che la gente
vuole non sono mostre impegnate e serie dove si ricostruisce un
capolavoro smembrato di un certo Bernardo Daddi, ma i soliti
Caravaggio o Van Gogh dei soliti Sgarbi o Goldin.
Ma la chiudo qui, per ora, poiché tutto
ciò c'entra marginalmente con la bella mostra di Prato.
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Fig.1, Bernardo Daddi, l'Assunta dalla pala per la prepositura di Prato, 1337-38. New York, Metropolitan Museum of Art |
In Italia è possibile fare mostre serie: mostre con un discorso storiografico sensato e in cui sia possibile ammirare opere d'arte nelle migliori condizioni. A dimostrarlo è la bella mostra "Legati da una cintola. L'assunta di Bernardo Daddi e l'identità di una città", in corso a Prato fino al 14 gennaio nel Museo di Palazzo Pretorio. Si tratta di un percorso ottimamente articolato che narra la venerazione della città per la sacra cintola: una mostra iconografica, quindi, sulla resa di questo soggetto nei diversi medium artistici.
Fig.2, Giovanni Pisano, Madonna col Bambino, 1305-10 ca. Prado, Duomo, cappella della Cintola |
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Fig.3. Pannelli con la ricostruzione della Pala di Bernardo e predelle del Museo di Palazzo Pretorio e della Pinacoteca Vaticana |
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Fig.4, dettaglio dell'Assunta ora a New York dove si nota la parte superiore dell'aureola di san Tommaso |
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Fig.5, Bernardo Daddi, Gamaliel appare in sogno al prete Luciano, dettaglio, 1337-38. Città del Vaticano, Pinacoteca vaticana |
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Fig.6, Bernardo Daddi, Santa Reparata davanti all'imperatore Decio, 1340 circa. New York, Metropolitan Museum of Art |
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Fig.8, dettaglio della figura 6 |
Fig.9, Maestro di Cabestany, Morte, Glorificazione e Assunzione della Vergine con san Tommaso che tiene la cintola, 1160 ca. Cabestany, Notre-Dame-des-Anges |
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Fig.13, Madonna del Parto, dettaglio, 1350 ca. Fiesole, Museo Bandini |
Fig.14, Noli me tangere, seconda metà del Duecento. Pisa, Museo dell'Opera del Duomo |
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Fig.15, Niccolò di Pietro Gerini, Dormitio Virginis e Assunzione della Vergine, 1370-75 ca. Parma, Galleria Nazionale |
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1 Si
veda la scheda dedicata a due delle tavolette vaticane da Federica
Baldini nel catalogo della mostra romana del 2009 Giotto e il Trecento. “Il più
sovrano Maestro stato in dipintura”, Skira 2009
2 Una ricostruzione recente del polittico di Bernardo è stata realizzata da Stefano G. Casu in una scheda del catalogo della mostra fiorentina del 2014 La fortuna dei primitivi, e potete leggerla QUI. Nella scheda della mostra di Prato Carl B. Strehlke propone delle leggere modifiche nella sequenza della predella bassa.
3 E' la definizione che si legge nel seminale Qualità e industria di Taddeo Gaddi del 1959
4 L. Bellosi (con schede di G. Ragionieri), Giotto e la sua eredità, Il Sole 24 Ore 2007